Ad aprile 2020, nel pieno della fase iniziale della pandemia, scrivevamo in un articolo:
Le maggiori limitazioni (materiali, di movimento) daranno nuovo significato agli ingredienti stessi del conflitto: alle differenze, alla prossimità, al movimento. Saper riconoscere e governare tali elementi, farà la differenza tra passività e proattività. Fra subire e agire il cambiamento.
In piena estate 2021 iniziano ad esserci elementi e basi di dati per poter tirare una riga e fare qualche considerazione sul contesto in cui, dall’autunno riprenderemo le attività di allenamento.
Gli impatti della pandemia sulla propensione alla pratica e sulla spesa
Subito dopo l’impatto sul sistema sanitario, la pandemia ha generato un forte squilibrio economico nella società di tutto il mondo. In Italia la riduzione della capacità di spesa, nel 2020 è stata in media del 9% rispetto al 2019. Osservando i dati, si nota che la propensione delle famiglie a spendere per attività sportive e ricreative è scesa drasticamente, di quasi il 28% su base annua.
Gli impatti più severi si sono registrati nelle aree del Paese a maggior reddito, che sono quelle in cui la spesa per le attività sportive è tradizionalmente superiore rispetto al resto del territorio.
Sport e Salute, l’azienda pubblica che per conto del governo contribuisce, tra le altre cose, alla comprensione del mondo dello sport attraverso studi statistici, ha restituito una fotografia desolante, che chi gestisce palestre ben conosce:
In una nostra elaborazione su dati Nielsen per il Nord Ovest dell’Italia restituiva, in epoca pre-covid, un valore medio ragionevole di propensione alla spesa per attività sportive, di 235 €/anno in nuclei familiari di medio reddito.
La riduzione della capacità di spesa per valori prossimi a un terzo induce a ritenere ragionevole che vi sarà un transitorio in cui tale valore si attesterà intorno ai 170 €/anno. Dando uno sguardo alle tariffe mensili che grandi marchi internazionali di palestre propongono alla clientela, sembrerebbe che tale analisi sia in linea con le strategie commerciali dei professionisti del fitness e dello sport nel tempo libero.
Del resto, come ribadito in tempi non sospetti da diversi report di McKinsey, i tempi fisiologici per un ripristino delle condizioni economiche pre-Covid19 sono legati a doppio intreccio con una efficace gestione sanitaria della pandemia, segnatamente dalla capacità di vaccini e cure di abbassare la curva delle ospedalizzazioni e placare le turbolenze e le incertezze che si sono scatenate a qualsiasi livello economico e produttivo.
Pertanto, in tali report, appare piuttosto evidente come per tutto il 2021 e per alcuni mesi del 2022, salvo l’insorgenza di nuovi problemi, attraverseremo ancora fasi di assestamento -con gli inevitabili scossoni a qualsiasi livello.
La percezione del rischio nei luoghi di pratica
SWG, in un’indagine commissionata dal Dipartimento per lo Sport della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha misurato un dato tanto ovvio quanto significativo: all’aumentare dei contagi, l’utenza dei corsi sportivi e di attività fisica ha una percezione di maggior sicurezza nella pratica all’aperto. Questo spiega la ragione per cui i Protocolli Covid recepiti da Federazioni, EPS e applicati nei luoghi di pratica siano al limite del maniacale.
Del resto non si può ignorare il dato: il 77% degli utenti di un luogo di allenamento al chiuso e il 66% dei fruitori di una palestra (anch’essa al chiuso) si sente insicuro. E del resto, rispettivamente il 59% e il 77% di chi si allenava con regolarità in tali ambienti, all’insorgere di un sensibile aumento dei contagi ha dichiarato di non essere più interessato alla pratica sportiva.
Le conseguenze sull’utenza e la questione vaccini
SWG e Sport e Salute hanno evidenziato il seguente andamento:
E’ la fotografia di una progressiva resa, con un incremento netto della popolazione sedentaria (un assurdo sanitario, ma tant’è) e una riduzione incredibile della popolazione attiva.
Di fronte a questo trend, quindi, è sorto spontaneo chiedersi quale possa essere l’impatto della proposta vaccinale al fruitore di corsi sportivi. Lo studio citato riporta i seguenti dati:
Sono significativi alcuni dati. Innanzitutto un enorme 23%, quasi un quarto di popolazione che, causa pandemia in atto, rinuncia all’attività sportiva, confidando in un qualche lieto fine. Gli indecisi sono pari al 18%, mentre la maggiore spinta verso una ripresa dell’attività sportiva la darebbero gli sportivi occasionali che, sentendosi sicuri in forza della copertura vaccinale, per il 48% riprenderebbero la pratica. Anche in questo caso, l’appartenenza a fasce di reddito medio-alte e a determinate fasce anagrafiche muta la propensione al vaccino come strumento di legittimazione della pratica.
Il tutto con uno zoccolo duro di habitué, pari al 23%. Un numero significativo che tuttavia, per l’analisi di sostenibilità economica (e probabilmente anche sanitaria) non riesce a modificare la trazione del restante 67% di utenza.
Autunno 2021: quale scenario?
Il quadro normativo nazionale e internazionale punta ad un’introduzione indiretta dell’obbligo vaccinale. Tutti, come è naturale che sia quando si tratta di argomenti sensibili, hanno la loro opinione su questi temi. Troppi la esprimono di pancia e in maniera faziosa. Spesso ignorando i quadri normativi di riferimento, i protocolli sanitari, le condizioni al contorno.
Vorremmo provare a commentare l’introduzione di questo obbligo ampliando al massimo il punto di osservazione e provare a vederne minacce e opportunità.
La minaccia insita in provvedimenti normativi “indiretti” non risiede nella forma. Un grosso responsabile marketing di una casa automobilistica diceva che il cliente è un “bambino capriccioso di nove anni”. Il problema è nella sostanza: nel momento in cui il potere legislativo fonda la sua legittimazione sulla continua ricerca del consenso, allora si procede in questo modo. Si evita di metterci la faccia e si permette che questa giostra isterica in cui tutti devono avere l’ultima parola su tutto, vada avanti.
Sarebbe molto più facile istituire un obbligo per tutti: in questo modo si potrebbero gestire in modo chiaro e tutelante le eccezioni, che sono molte (non tutti quelli che vogliono possono vaccinarsi e viceversa). Purtroppo risulta molto più pratico -e conduce allo stesso risultato- vincolare la fruizione di attività sociali al raggiungimento della soglia di vaccinazione. Concludendo e ribadendo: la minaccia sta nella debolezza di una classe dirigente ostaggio di se stessa, dell’opinione e fondamentalmente della paura di agire. I discorsi su democrazia e costituzionalità, seppur interessanti, preferiamo lasciarli a chi veramente competente.
Per contro, l’opportunità è chiara: c’è una grossa fetta di popolazione davvero bisognosa di riprendere un contatto con la realtà, mediato dall’esercizio fisico condiviso, qualsiasi esso sia. I dati riportati dimostrano che i più propensi (verosimilmente: i più impattati a livello emotivo) sono i praticanti saltuari.
Parliamo di milioni di persone a cui, chi è riuscito a resistere alle ristrettezze del periodo e può offrire un “luogo protetto di pratica”, nell’accezione più ampia, potrà offrire qualcosa.
Chi gestisce corsi in strutture pubbliche (scuole, palazzetti, stadi), o private (club, palestre, sale di allenamento) dovrà necessariamente rispettare formalmente le disposizioni vigenti.
Cosa fare per la residua utenza che non potrà/non vorrà aderire ai requisiti di legge?
Come conciliare l’applicazione di una norma -che come tutte le norme pone dei confini- con un legittimo desiderio di accogliere tutti?
Verosimilmente, in analogia con quanto accade con i responsi dell’elettrocardiogramma, che escludono alcuni dalla pratica sportiva, accadrà a tendere che le poche persone che non avranno tale copertura dovranno sospendere la pratica nei luoghi chiusi. Magari si potrà provare a ipotizzare qualche attività all’aperto e provare così a salvare capra e cavoli, trovando la libertà nonostante le restrizioni, che è esattamente quanto si impara ogni volta che si sale su un tatami.
Disclaimer: foto di Nigel Tadyanehondo da Unsplash